Dopo aver squadrato, così per pretesto, ad uno ad uno i suoi dipendenti, il Frapolli fece formare il quadrato, e piantandosi in mezzo alle file, sciorinò tutto d'un fiato un lungo discorso, dove chi capì un acca potè chiamarsi ben fortunato. Parlò di trame e di cospirazioni, protestò di esser calunniato, di andar d'accordo con Garibaldi, ma che però non bisognava sposarsi a quest'ultimo, poiché dei guerrieri bravi ce ne erano anche più di lui, poiché era succeduta la rivoluzione anche nell'armi e nella strategia e che perciò ci voleva gente nuova.
Un lungo mormorio ed anche qualche fischio accolsero le strampalate parole del generale, che alzando, bruscamente le spalle e borbottando, non so quali inpertinenze, si ritirò seguito dal suo stato maggiore.
Giunto il battaglione alla caserma, Piccini, incoraggiato e sostenuto da Rossi e Stefani, scrisse addirittura una lettera a Garibaldi, lettera nella, quale si metteva chiaramente a nudo la situazione e si chiedevano consigli su ciò che era da operarsi: qualora non forse pervenuta alcuna risposta i tre amici avevano deciso di disertare.
Come furono lunghi i cinque giorni d'aspettativa! quante polemiche, quante questioni anche serie non accaddero in quel breve lasso di tempo! i soldati cominciavano a perder la fiducia nel loro capo, dacché subodoravano che tra lui e il grande Italiano non ci era più quell'accordo, che solo può produrre buoni resultati; finalmente venne il colpo dì grazia, e questo colpo fu giusto appunto la lettera con cui Canzio a nome del Generale rispondeva a Piccini.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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