Rammento ai lettori questo mio amico che di diciassette anni era là in mezzo a noi, lo rammento perché nel raccontarmi come buscò quella palla adoperò con me una verità da reputarsi impossibile.
- Alle prime palle ebbi una paura birbona - mi disse il buon ragazzino - pensai alla mia povera mamma, che mi proibiva di saltare, di pigliare il fresco, che stava in pensiero, quando tornavo tardi, e che ora non era più buona a proteggermi... mi addossai a im muro tutto rannicchiato, facendomi piccino, piccino e ci stetti qualche minuto: passarono gli Egiziani, uno di loro mi disse: sei un vile; mi saltò il rossore alla faccia, avrei ucciso quell'uomo, poi vidi che aveva ragione, ripensai anche allora alla mamma, alla mamma che piuttosto di vedermi infamato, piuttosto di piangere su me vivo avrebbe pianto sulla mia tomba, e mi accodai all'Egiziani, con loro mi stesi lungo i vigneti, con loro sostenni due ore di fuoco, con loro caricai alla baionetta, fino a che mi sentii percuotere questo braccio, come da una bastonata e caddi per terra... ero ferito!...
La rivista era terminata: allegri e contenti tornammo in città; l'eccellente spirito da cui erano animate indistintamente le truppe, la fisonomia sorridente di Garibaldi, il piglio ardito e simpatico di Canzio, la memoria dei generosi amici nostri che ci avevano dimostrato come si deve morire allorché siam guidati da magnanimi proponimenti, una certa tal quale ambizione di avere assistito ad uno dei drammi più splendidi dell'Epopea Garibaldesca, sempre più ci stimolava ad adempire scrupolosamente il nostro dovere, sempre più ci rendeva sicuri di brillanti, di memorabili trionfi: ma a che serve la fede, quando i traditori ed i mercanti di popolo paralizzano coll'alito gelato del calcolo le sublimi abnegazioni delle minoranze da loro dette fazioni?
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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