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      Ma l'aristocrazia dell'oro? Nata nel lurido bugigattolo di uno strozzino, cresciuta nella stanza di affari di un ladro intendente, rinvigorita nello splendido palazzo di un commendatore banchiere che pur ieri vendeva i cenci o raccattava le cicche, vergognosa del proprio passato, piena di sospetti per l'avvenire, codardamente accanita alla sola idea di perdere o di scapitare su dei capitali accumulati a forza d'infamie, e di bassezze, è lei sola il vero sostegno delle tirannidi, è lei sola che fa cadere nel fango i popoli più gloriosi, è a lei sola che si devono attribuire i disastri del mondo: poiché, se l'antica aristocrazia a un'idea falsissima sacrificava e vita e agiatezza, la moderna all'agiatezza e alla vita sacrifica tutto. Io non ammetto nemmeno la così detta aristocrazia dell'intelligenza: il nascer savi è caso e non virtù, dirò parafrasando i celebri versi del Metastasio; ed allora? mi domanderà qualcheduno: allora, rispondo, io non ammetto che una sola aristocrazia, aristocrazia basata sull'eguaglianza, l'aristocrazia del lavoro!...
      Mi scusino i lettori, se io vado di palo in frasca: mi scusino le lettrici che potranno ravvisare in me più un predicatore noioso, che un narratore giocondo; tra i miei appunti ho trovato anche queste linee e non sono stato buono di sacrificarle; non saprei dirne il motivo; ma per non fare brontolare nessuno rientro a gran carriera in carreggiata.
      Mecheri, Materassi, Piccini, Bocconi ed io eravamo nella nostra camera, sognando tra una boccata e l'altra di fumo nuove battaglie, e per conseguenza nuovi trionfi.


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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