- Su... su... non ci è tempo da perdere - Mi grida il foriere - Alla stazione.
- Partiamo col treno?...
- Sì nello stesso convoglio del Generale.
Con uno sforzo sovrumano arriviamo a varcare i cancelli: un'infinità di mobilizzati ed anche qualche Italiano, o di riffe o di raffe, pretendevano forzare la consegna e risparmiarsi, assoggettandosi a degli urtoni o al pericolo di qualche partaccia, una trentina di kilometri da farsi colla cavalcatura di San Francesco.
Arriviamo sotto la stazione: lì troviamo qualche aiutante del Generale, diversi ufficiali di stato maggiore e un convoglio a cui era già stata attaccata la macchina.. quel convoglio però non era per noi, esso era stato serbato ai feriti.
Garibaldi non era anche giunto: il generoso eroe dei due mondi voleva partire soltanto, allorché sarebbe stato sicuro che nessuno dei suoi cari, sofferente, potesse cadere nelle mani dell'inimico.
Appena partito il treno, cominciano ad arrivare nuovi stroppi: si buttano sulle panche della stazione gemendo ed urlando; alcune donne prestano loro qualche soccorso o qualche conforto.
Si appresta un'altro convoglio - Speriamo sia il nostro dice qualcuno; si domanda al capo stazione, o a una guardia qualunque e ci risponde negativamente. Allora la solita storia delle mille chiacchiere inutili.
- O sta a vedere, che ci prendono come salami!
- Sentite ma certe ostinazioni non le si capiscono.
- E se andassimo in quel treno lì?
- Ma noi si ha l'ordine di star qui.
- Eppoi abbandonereste il nostro vecchio?
- E se fosse partito?
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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