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      Noi eravamo andati a Macon per disciogliersi; pure ci trattennero due giorni in un ozio increscioso: a romper la monotonia di quelle lunghe ore venne il Journal de Macon. In un articolo pieno di bile la più velenosa, il venduto imbrattator di carte si scagliava su noi in modo veramente indecente. Dopo aver detto ira di Dio di Garibaldi e Gambetta, l'articolista aveva lo spudorato coraggio di chiamarci i cavalieri erranti della repubblica, i fannulloni Italiani che erano andati in Francia a fare i signori, gli spavaldi guerrieri che non avevano mai veduto il fuoco ma, che trattavano il dipartimento di Saône e Loire, come se fosse un paese conquistato.
      Mettere una mano in un alveare e scrivere quella robaccia fu la medesima cosa! In poche ore più di trecento Garibaldini corsero all'ufficio del malcapitato giornale: un pagliaccio qualunque, allibito dalla paura, si scusava, si profondeva in mille proteste, dava insomma tal prova di vigliaccheria, che nessuno dei nostri volle sporcarsi le mani col dargliele sul muso.
      Il giorno dopo il giornale escì fuori colle due prime colonne in bianco: più sotto vi era una protesta, in cui si dichiarava che la libera stampa deve tacere là dove regna la sciabola. È un fatto: i giornalisti codardi e venduti son come i rospi, bisogna schiacciarli.
      Dopo tale incidente cominciava a rinascere in noi il malumore. A che ci trattengono? si cominciava a dire tra noi; forse non è finita la guerra?... Non veggono forse come noi cominciamo a trovarci in una situazione abbastanza anormale?


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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato
1871 pagine 297

   





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