Il primo giorno che arrivammo a Marsiglia avevamo cercato allegria al Dio Bacco: se non altro per debito di riconoscenza, dovevamo offrirgli copiose libazioni anche nelle ultime ore che ci si tratteneva nelle terre di Francia.
A mezzanotte si chiuse la trattoria; girellammo per persi un'oretta nelle deserte vie di Macon: per passare le altre tre, ed essendo abbastanza assonnati, credemmo che non sarebbe stato cosa malfatta sonnecchiare un pochino, ma quasi tutti avevamo detto addio a coloro che ci avevano ospitato; per cui ci riducemmo in dodici nella camera di un nostro amico: la notte antecedente alla mia partenza di Firenze aveva un degno riscontro nell'ultima che passavamo lassù. Quattro saltaron sul letto, gli altri, me compreso, si buttaron per terra facendo un diavoleto indescrivibile. Nessuno potè dormire: tutti ci perdevamo in congetture più o meno umoristiche sulle accoglienze che avremmo avuto in Italia.
Suonarono le tre e ci avviammo alla stazione: si bevve per l'ultima volta una buona bottiglia di vieux Macon e poi ci buttammo nei vagoni a noi destinati.
La macchina fischia: il treno è in movimento: ci spenzoliamo, quantunque sia sempre buio, per dare un ultimo saluto alla città, e non possiamo a meno di ripeter tra noi: Povera Francia! Si cammina, si cammina per tutta la mattinata; traversiamo l'Est della Francia: si arriva alla Savoja: traversiamo i suoi monti, siamo colpiti dall'immensa poesia che fanno piover nel cuore le folte boscaglie, gli scoscesi macigni, il verde cupo degli alberi, tutt'a un tratto intramezzati da estese pianure di neve.
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Da Firenze a Digione
Impressioni di un reduce garibaldino
di Ettore Socci
Tipografia sociale Prato 1871
pagine 297 |
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