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A questa dichiarazione mi rimane ad aggiungere poche parole.
Questo lavoro non avrà buona accoglienza da due specie di lettori; da coloro che hanno per un errore dello spirito umano o almeno per una cosa che non interessa noi altri italiani, tutto il movimento filosofico da Cartesio sino ad Hegel, e da coloro che credono che da due secoli e mezzo non si sia più pensato in Italia. Pe' primi Hegel, Schelling, Fichte e lo stesso Kant non valgono niente, e già qualcuno di loro ha gravemente profetizzato, che da qui a un anno non se ne parlerà più; pe' secondi Galluppi, Rosmini e Gioberti sono ingegni, mediocri, e lo stesso genio di Vico è una delle solite esagerazioni degli italiani.
Io ho considerato sempre queste opinioni estreme come misere gare di parte; o almeno come pregiudizi egualmente nocivi al progresso della coltura filosofica in Italia. Ciò che solo può convincere e rimettere sulla retta via gli uni e gli altri - parlo di coloro che sono di buona fede - è lo studio sincero de' filosofi nostri e stranieri. Questo scritto, sebbene principalmente indirizzato a combattere il primo di questi pregiudizi, pure, per la sua stessa natura, non ha minor valore contro l'altro.
Non essendomi io proposto qui di fare una storia della nostra filosofia, ma solo di determinare in modo generale e sommario il carattere e il progresso del pensiero filosofico italiano, non ho esposto in tutta la loro ampiezza i sistemi de' nostri filosofi, ma solo quanto bastava per far intendere la loro relazione ideale, cioè appunto quel carattere e quel progresso.
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