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      Non sa trovare la vera vita che nella negazione della materia stessa della vita. Ma, non reggendosi in questa vuota altezza, ricade nella trivialità della rappresentazione naturale; Brama neutro diventa Brama mascolino: una bassa personificazione. Questa alternativa dalla realtà empirica all'unità assolutamente vuota e astratta, e da questa a quella, la coesistenza di questi due estremi nella stessa coscienza, senza che possano compenetrarsi l'un l'altro: tale è lo spirito indiano.
      Sospeso così, quasi a mezz'aria, tra l'intelligibile senza determinazioni e il concreto senza l'intelligibile, egli non può fissare in volto la natura e intenderla, ma è come affascinato da essa: la sua esistenza è come un sogno, un mondo vago, senza limite e misura. Così egli non arriva mai ad una spiegazione sistematica de' fenomeni dalle loro cause naturali, nè alla libertà della vita civile e politica, nè alla civiltà umana propriamente detta. L'oggetto che egli contempla, non è il vero e reale, nel quale addentrandosi l'occhio dell'intelletto si levi poi gradatamente, come avvenne in Grecia, all'essenza intelligibile, ma è un oggetto mobile e fantastico, nel quale l'intelletto non trova il suo punto di appoggio. Così la filosofia non può aver mai una forma e un metodo rigorosamente scientifico; ma si arresta in parte a uno schematismo esterno logico e grammaticale, come nel medio evo; in parte a precetti ed osservazioni aforistiche, in parte a descrizioni fantastiche e poetiche. Con tutto ciò il gran valore dell'intelletto indiano è l'essersi elevato alla coscienza dell'altezza del pensiero: alla separazione del soprasensibile dal sensibile, dell'universale dal moltiplice empirico, naturale ed umano: alla concentrazione dello spirito in se stesso, mediante la negazione di ogni esistenza finita e determinata.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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