Il neoplatonismo è l'ultimo sforzo dello spirito greco: scomparso l'oggetto, la soggettività vuota si espande e getta, direi quasi, se stessa al di fuori, a un tratto, e però si pone a sè dinnanzi come un altro esterno, un altro oggetto. È un altro esterno; perchè ha origine e radice nella intimità vuota del soggetto, e invece l'esterno di prima avea radice nell'oggetto naturale. Qui dunque abbiamo come una conversione dello spirito, una - per dirla coi matematici - mutazione di segno, un nuovo indirizzo, e piuttosto il principio di una novella êra, che la fine dell'antica. Ma nel fatto non è che la fine. E in vero l'intelletto greco si leva gradatamente, come ho già notato, dall'oggetto naturale al concreto intelligibile.
L'indiano, movendo dall'oggetto fantastico, erasi levato immediatamente, per subitanea astrazione, al puro essere, al vuoto intelligibile; e così dovea procedere e a ciò riuscire, appunto perchè, l'oggetto essendo fantastico, l'intelletto non avea in esso nè misura nè contenuto. Lo stesso ora avviene, sebbene in senso inverso, all'intelletto neoplatonico: il soggetto, da cui esso muove, non è il soggetto concreto come soggetto, come soggetto umano, ma è il soggetto che era stato concreto come soggetto greco, non umano, e ora non è più greco, ma vuoto e non ancora umano. E però, mancando la concretezza, da una parte l'intelletto non è processo, ma intuizione immediata, come l'indiano era stato astrazione immediata; e d'altra parte l'oggetto di questa intuizione, il nuovo oggetto, non ha nessuna determinazione in quanto nuovo oggetto, cioè come soggetto, ma è assolutamente indeterminato, e quindi incomprensibile.
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