Questa contradizione, in cui si vede da una parte il carattere ellenico, l'oggettività, e dall'altra la negazione di questo carattere, cioè un oggetto non intelligibile e quindi non più oggetto: tale è il neoplatonismo. Perciò è la fine, cioè la dissoluzione della filosofia greca.
Perchè dunque questa situazione dello spirito fosse il principio di una nuova filosofia, bisognava che il soggetto fosse concreto come soggetto, cioè umano, siccome l'oggetto dell'intelletto greco era già concreto come oggetto, cioè come natura. Questa concretezza, cioè la formazione pratica del soggetto, questa, se così posso dire, seconda natura, questa prima educazione dell'uomo come uomo, e non già solo come cittadino di una data nazione, è l'opera di più secoli, e presuppone l'apparecchio romano, l'avvenimento del cristianesimo, la caduta dell'impero, la mescolanza de' popoli, il medio evo. Solo dopo quest'opera prodigiosa, dopo questo rinnovamento del cuore, era possibile il dire davvero, come fece Cartesio: Cogito ergo sum, Deus cogitatur ergo est: cioè una nuova filosofia, che ponesse per principio il soggetto e non l'oggetto, il pensiero e non l'ente, l'intelligente e non l'intelligibile, e che dalla coscienza di sè, dalla notizia intuitiva dell'essere contenuto nel pensiero, procedesse alla vera concezione della natura e di se stesso: - nella quale concezione la natura (l'essere) fosse non più l'assoluto (come nell'India) o un limite insuperabile dello spirito (come in Grecia), ma, come dice Bruno, l'infinita genitura dell'infinito generante: la creatura dello Spirito.
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