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      Io voleva provare che l'umanità ci è o almeno ci ha da essere ne' tempi moderni, e il rimprovero dice che ci è stata, a suo modo, anche nei tempi antichi; cioè, che nell'India stessa la coscienza siasi elevata a tale altezza, da superare i limiti de' pregiudizii nazionali. Adunque, potrei dire: tanto meglio; e basterebbe. Contuttociò, giacchè la dimostrazione del mio tema si connette necessariamente colla caratteristica della filosofia e in generale dello spirito de' tre popoli ariani antichi (India, Grecia e Roma), io devo provare che questa caratteristica non esclude, anzi contiene in sè, quel progresso dalla coscienza puramente naturale e nazionale all'umana.
      E in vero, ei pare che io abbia fatto di ogni erba fascio, perchè ho detto: "lo spirito indiano non arriva mai alla coltura umana propriamente detta"; e: "Brama è lo stesso spirito indiano". E simili. Tutto ciò, si osserverà, stava bene venti o trenta anni fa; ma oggi, dopo le nuove ricerche sull'India e specialmente sul buddismo, è un errore, che non si può scusare. Chi non sa oggi che il buddismo è l'umanismo indiano, e tale umanismo che spesso, al paragone, noi altri popoli moderni d'Europa, che diciamo di rappresentare tutta l'umanità, abbiamo cagione di arrossire? Chi non sa oggi, insomma, che bramanismo e buddismo sono essenzialmente differenti, e che il bramanismo non è o almeno non è stato tutta l'India? - Io so bene che la ignoranza non è una scusa, nè anche quella così facile, e direi quasi così scusabile, delle cose indiane.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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