Questa dissoluzione è lo scopo comune di tutti gl'indirizzi della coscienza indiana, religiosa e filosofica: della pratica bramanica, della contemplazione vedantica, dell'etica buddistica, e della stessa speculazione eterodossa del Sankhya. Il Sankhya, infatti, sebbene opponga all'unità originaria dell'essere la dualità assoluta della natura e dell'anima individuale, e faccia consistere la liberazione nel conoscere se stesso e distinguersi dalla natura; pure ha per fine ultimo l'isolamento assoluto dell'anima, e quindi la estinzione della personalità e dell'Io. Il puro bramanismo, il Sankhya e il buddismo sono come i tre gradi principali, pe' quali passa la speculazione indiana, senza mai arrivare al vero concetto della personalità umana. Nel bramanismo l'anima individuale è come niente: una pura modificazione apparente e illusoria di Brama, che è l'Essere indeterminato e indifferente. Il pregio del Sankhya è il valore originale dell'anima individuale; ma questa individualità è vuota, come Brama medesimo, e senza coscienza. Il buddismo compendia in sè il bramanismo e il Sankhya, giacchè per esso ogni anima è in se stessa quel che nel puro bramanismo è Brama come Tutto; e, giacchè Brama come vuoto Essere è il Nulla, la vera essenza dell'anima è appunto l'annichilamento assoluto.
3. Paragonando l'India, la Grecia, Roma e il mondo moderno, si può dire, che nell'India l'umanità apparisce la prima volta come religione (nel buddismo); nella Grecia come filosofia (nel principio socratico); e in Roma come diritto.
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