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      La critica di questa posizione, cioè la filosofia del Risorgimento, dovea essere:
      separazione della filosofia dalla teologia;
      negazione del misticismo;
      critica dell'intelletto finito, e dimostrazione della impossibilità di arrivare all'Assoluto mediante le categorie (isolate le une dalle altre, e sciolte dalla loro unità razionale, che è appunto il loro vero significato): - scetticismo, dotta ignoranza; la conoscenza non altro che semplice congettura;
      naturalismo: cioè la necessità di conoscere e studiare la natura; perchè solo questa conoscenza è scala alla conoscenza di Dio, non essendo altro la natura che o la immagine e simiglianza di Dio, o Dio medesimo come essenza immanente nelle cose (Natura est Deus in rebus: Bruno);
      il principio della dignità dell'uomo come pensiero e come volere, come intelletto teoretico e come intelletto pratico;
      legittimità del piacere e dell'elemento mondano in generale come momento essenziale della virtù, e della vita dello spirito;
      ricerca di un principio immediato della certezza e della prova scientifica, il quale non è altro che l'Io, il pensiero (ego cogito): da prima come senso o esperienza in generale, di poi come coscienza o pensiero razionale.
      Tutte queste determinazioni sono sparse, un po' confusamente, nelle opere de' filosofi nostri e stranieri di quel tempo. Sono semplici indizi, semi e germi, i quali si raccolgono più o meno e hanno maggior vita nella coscienza di Bruno e Campanella, e si riducono alle due seguenti:
      valore della natura,
      valore della soggettività.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





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