- Si suol dire che il maggior tormento e insieme la maggior consolazione de' filosofi sia la verità. Se ciò è vero, io credo che a nessun uomo la verità abbia fruttato più gran tormento e più grande consolazione che al povero Bruno.
E chi mi impenna e chi mi scalda il core?
Chi non mi fa temer fortuna o morte?
Chi le catene ruppe?.......
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Quindi l'ali sicure a l'aria porgoNè temo intoppo di cristallo o vetro,
Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo.
E mentre dal mio globo agli altri sorgo,
E per l'eterio campo oltre penetro,
Quel che altri lungi vede, lascio al tergo.
Poi che spiegate ho l'ali al bel desio,
Quanto più sotto il piè l'aria mi scorgo,
Più le veloci penne al vento io porgo,
E spreggio il mondo, e verso il ciel m'invio.
Nè del figliuol di Dedalo il fin rioFa che giù pieghi, anzi via più risorgo.
Ch'i' cadrò morto a terra, ben mi accorgo;
Ma qual vita pareggia al morir mio?
La voce del mio cor per l'aria sento:
- Ove mi porti, temerario? China,
Chè raro è senza duol troppo ardimento.
Non temer, rispondo io, l'alta ruina.
Fendi sicur le nubi o muor contento,
Se il ciel sì illustre morte ne destina!27
Bruno era presago del suo destino! Onde tanto entusiasmo, e quello spirito irrequieto che si mostra tranquillo e sereno solo innanzi alla morte? "In Bruno", scrive uno storico della filosofia, "vi ha l'esaltazione di una grande anima, che sente in se stessa la immanenza dello spirito, e sa che nella unità del suo essere e di tutti gli esseri consiste tutta la vita del pensiero. Nella profondità di questa coscienza vi ha qualche cosa che rassomiglia al sacro furore di una baccante; essa trabocca, per divenire oggetto a se stessa ed esprimere tanta ricchezza". È qui, ho detto io in una mia breve scrittura sulla filosofia italiana, tutta la differenza tra Bruno e Campanella.
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