Finchè non si fa questo, il dualismo dei principii non è superato; cioè, non si ha veramente l'uno essere, l'assoluta indifferenza. Ora Aristotele non deriva i due principii, ma li presuppone.
Bruno dice: assoluta indifferenza, e oltre a ciò esige la derivazione del contrario. Ciò è molto. Ma poi, non solo non trae il contrario, ma con tutto che dica indifferenza, non afferma quella posizione, che è la possibilità del punto della unione. Mi spiego: Aristotele dice: uno stesso essere sotto due aspetti. Ma, poi, pone come il vero essere l'uno di questi due aspetti, per sè, senza l'altro, e così distrugge da sè la posizione dell'uno stesso essere. Così l'altro rimane sempre qualcosa d'estrinseco al primo, e non è derivato dal primo; e sebbene non sia superiore al primo, pure è sempre un limite insuperabile del primo. E ciò val quanto dire: il primo - la forma, il pensiero - non è veramente il Primo; in realtà ci sono due Primi.
Bruno dice: Indifferenza, e sta fermo a questa posizione, in quanto la forma non è mai estrinseca alla materia e l'intelletto artefice muove e opera da dentro; il Dio aristotelico, pura forma, è scomparso. Ma, d'altra parte, quella indifferenza è un punto assolutamente oscuro, una base presupposta, non pensata affatto; i due contrarii sono in realtà ancora assolutamente irreducibili; la loro indifferenza o unità è piuttosto essere insieme, semplice coincidenza, non altro.
Spinoza, mediante Cartesio, fa chiaro quel punto oscuro; e questo punto chiaro - immediatamente chiaro (evidenza, intuito cartesiano) - è il pensiero in quanto contiene il suo contrario, l'essere.
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