Si è paragonato Gioberti a Schelling. Il paragone è giusto, se l'intuito non si considera come innato, ma come una subitanea elevazione della coscienza volgare al cielo della scienza.
L'intuito o il conoscere puro giobertiano - come intuito dell'Ente creante - è in sè tutto il conoscibile; giacchè fuori dell'Ente creante non vi ha nulla, e l'Ente creante vuol dire tutto il conoscibile. Perciò l'intuito è in sè assoluto conoscere o sapere, cioè quel sapere in cui tutto è chiaro; in cui tutta la realtà è sapere, tutta sapere: trasparenza o specchialità assoluta, come dice lo stesso Gioberti.
Tali non sono i semplici momenti del puro conoscere. La sensibilità del Galluppi è il conoscere solo come esperienza, come semplice coscienza: l'universo, l'anima, Dio sono una regione perfettamente oscura. E semplice coscienza è il conoscere kantiano e rosminiano. Il conoscere fichtiano è semplice mentalità o soggettività; e la natura o il non-io è oscuro. Il conoscere schellinghiano è semplice ragione o idealità oggettiva, e non già idealità oggetliva come mente o coscienza di sè. Solo il conoscere hegeliano e giobertiano - come la ragione o la idealità oggettiva conscia di se stessa, come spirito.- è trasparenza o chiarezza assoluta.
Il risultato di tutte queste lezioni - di questa breve storia del pensiero italiano e insieme del pensiero europeo - è, adunque, questo punto comune: il conoscere come assoluta chiarezza. Tale è il pensare puro di Hegel; tale è l'intuito di Gioberti.
Pensare puro e intuito vuol dire: la realtà assolutamente chiara, assolutamente trasparente; cioè assolutamente conosciuta.
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