In altri termini: senza la conoscenza di Dio, non si conosce niente. Il che significa che solo allora noi possiamo dire di conoscere davvero tutto quel che diciamo di conoscere, quando conosciamo Dio.
Gioberti, dunque, sin dal principio - perfino nella Introduzione, - dichiarando l'intuito come la potenzialità del conoscere e l'Idea come il contenuto dell'intuito, - afferma implicitamente la infinità del conoscere: la infinità del conoscere come possibilità, del conoscere. Quando egli scrive più tardi, la prima volta, credo, ne' Prolegomeni. e poi ripete sempre nelle Postume: l'uomo è l'infinito in potenza, è un Dio incoato, non si contradice; giacchè questo stesso l'ha già detto, chi ben l'intende, nel capitolo terzo dell'Introduzione. La contradizione - se tale si può chiamare una poco chiara coscienza di se stesso, cioè del proprio principio - è già cominciata nella stessa pagina di questo stesso capitolo.
L'intuito, dice Gioberti, è semplice potenza del conoscere; e qui stesso egli comincia a confonderlo coll'atto del conoscere; lo piglia per una conoscenza diretta, immediata. Il contenuto assoluto dell'intuito - cioè tutto il conoscibile, l'assoluto intelligibile, la stessa potenza infinita del conoscere diventa un oggetto immediato dell'intuito stesso, come conoscenza anch'essa immediata. L'intuito, appunto perchè conoscenza immediata, vede il suo oggetto a principio confusamente; come quando, io mi fo alla finestra e guardo così a un tratto una prateria; vedo tutto e non discerno niente.
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