Ma l'ha semplicemente tentato. O piuttosto l'ha detto, e non l'ha nè meno tentato.
Egli vuol provare il sovrintelligibile come limite insuperabile, cioè la finità della potenza del conoscere; e osserva che non basta allegare in genere, come fanno i razionalisti, la ragione imperfetta e finita; ma verificare - al che, ei dice, nessuno si è applicato prima di lui - psicologicamente la nozione stessa di mistero (del sovrintelligibile). Verificare psicologicamente vuol dire: provare la finità del conoscere e quindi il mistero, col ridurre l'atto del conoscere alla sua possibilità, alla potenza del conoscere.
A che riesce Gioberti in questa verificazione? O a niente, cioè a non verificare quel che vuole (e non può, anche per forza del suo stesso principio), o all'opposto, cioè alla infinità del conoscere.
Egli paragona - nella Teorica del Sovrannaturale - senso ed intelletto, dopo averli separati come due facoltà sostanzialmente ed essenzialmente differenti; e trova che si limitano reciprocamente, giacchè nè il sensibile può divenire intelligibile, nè questo quello. Quindi l'idea dell'incomprensibile (relativo); cioè, il sensibile non apprensibile intellettualmente, e viceversa.
Il difetto di questo modo di considerare, fu corretto poi dallo stesso Gioberti. Infatti nelle Postume - e, chi ben vede, nella stessa Introduzione - non parla più di questo limite reciproco; il senso, invece, si risolve nell'intelletto, il sensibile diventa intelligibile; il senso è l'intelletto implicato, e l'intelletto è lo stesso senso esplicato, ecc. ecc.
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