Negando la cognizione di questa Unità, Gioberti si contradice: nega la vera infinità o unità dello Spirito, ammessa nella potenzialità dell'intuito.
Infatti, cos'è questa Unità? Come nè pura unità immobile, nè unità che si esplica semplicemente, ma come autogenesi, essa è la stessa attività creativa, presa assolutamente. Unità qui è Creare; è lo Spirito: Ciclo assoluto, non Essere. Ora l'intuito come intuito del Creare, del vero creare - (esplicazione e ritorno) - è in sè questa unità, la conoscenza di questa unità. In ciò consiste la sua infinità vera, come potenza del conoscere. E tale, - così infinito, cioè conoscenza di tale unità, - deve essere il conoscere, l'atto vero del conoscere, la Scienza.
Adunque, la conoscibilità dell'essenza reale, - di questa assoluta autogenesi, - è contenuta sin da principio nella dottrina giobertiana dell'intuito. O questa essenza è conoscibile, e non vi ha punto il sovrintelligibile come un limite insuperabile dello spirito; o l'intuito (dell'atto creativo) è una parola vuota di senso. E tale pare che diventi per la più parte dei giobertiani; i quali parlano con tanta enfasi della visione ideale, ne raccontano mirabilia, la spacciano come l'unica infallibile ricetta per guarire dal sensismo (sic) aristotelico, cartesiano, spinoziano, kantiano, hegeliano e che so io; e poi, interrogati da noi altri poveri ciechi: cosa vedete voi lassù? non sanno rispondere altro che: oscurità perfetta. E in verità quel che essi dicono di vedere, e a cui danno il nome di Ente creante e nell'atto di creare, non è Dio, non è il Sole, ma un pezzo di carta dipinto, cioè loro medesimi, in fondo al cannocchiale.
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