Quel che voglio far osservare, si è che Gioberti qui sottomette la filosofia alla teologia positiva, come si suoi dire: alla teologia del Padre Perrone, e simili organi del magistero autorevole e delle formole ecclesiastiche. Ora nel vero Gioberti la teologia, la vera teologia, - non la volgare, come dice egli stesso, cioè appunto la positiva, - non è altro che filosofia: la filosofia della rivelazione. Certamente la filosofia, come l'ultima e suprema attività dello spirito, presuppone e quindi dipende da tutto: parola, società, Stato, religione, ecc.: ma contuttociò, anzi appunto perciò, trae la sua luce, la sua autorità, solo da se stessa, cioè, dal libero pensiero, dalla libera riflessione.
A coloro, i quali fanno consistere tutto il progresso nelle conversioni politiche, e che quasi in tutto il resto e principalmente nella filosofia non vanno al di qua nè al di là del medio evo, e in quest'opera, ch'essi chiamano di conciliazione, e che è una flagrante contradizione tra la teorica e la pratica, tra la scienza e la politica, si fanno scudo dell'autorità di Gioberti, vorrei raccomandar la lettura di tutti que' luoghi delle Postume, ne' quali il nostro filosofo discorre liberamente, senza diplomazia e quasi in veste da camera, della falsità della teologia positiva e della vera relazione tra la fede e la scienza, la religione e la filosofia. Io noto qui solamente, che quel che nel luogo sopra citato è detto domma, base certa e sicura, autorità, e simili, ne' nuovi luoghi apparisce appena come germe, potenza, o, in quanto determinazione o definizione (positiva), come semplice opinione.
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