La intende come semplice giudizio66.
Giudizio (??????) non è semplice unità, unità meramente immediata, ma unità che si distingue in se stessa, unità nella forma della distinzione. L'unità non è annullata, ma permane e si mostra come distinzione. Ma non è la vera unità, perchè non è integrazione della distinzione, e perciò rintegrazione di sè stessa. Tale è solo il sillogismo. Il giudizio non è assoluto fare, il vero pensare; ma è fare e fatto, pensare e essere. È pensare, in quanto distinzione; è essere, in quanto unità. Distinzione come pensare (nella forma del pensare; distinzione pensata), e unità come essere (nella forma dell'essere): tale è il giudizio.
Il giudizio è, dunque, unità parziale tra intelletto e senso, soggetto e oggetto. Quindi il soggetto ha un limite nell'oggetto, l'Io nel non-io. Questo limite è la cosa in sè.
Quindi la realtà cosciente non è per se stessa, ma per qualcosa che non è essa stessa e che la limita: per qualcosa di naturale.
Ciò vuol dire, che essa non è realtà cosciente; che è fatto, non fare, non farsi.
Dunque, così, la realtà cosciente, il conoscere, non è spiegato. E perciò il problema della logica non è sciolto.
Ora Fichte dice: realtà cosciente, in quanto unità sintetica originaria, è assoluto fare: è autocoscienza, e come tale, produzione assoluta di sè.
Quindi non più cosa in sè. La cosa in sè, il non-io, il limite dell'Io, è posto dall'Io stesso; e perciò non è più limite. L'Io (tesi) pone in sè il non-io (antitesi), e, ponendolo in se stesso (pensandolo e superandolo), pone davvero se stesso (sintesi).
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Fichte
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