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      Quel che io voglio dire, è questo: posto Fichte, - cioè che il conoscere sia impossibile senza l'autocoscienza, - e posto Schelling, - cioè che il conoscere non sia reale senza la identità come autocoscienza o mentalità, - l'unica via di risolvere il problema del conoscere, il problema della logica, sia quello di provare la identità.
      Per me tutto il valore di Hegel, qui, è questo; provare la identità.
      L'ha provata egli davvero?
      Questa è un'altra quistione.
      Ora, provare la identità è provare la creazione.
      Non vi sbigottite di questa parola; e intendiamoci bene. Provare vuol dire comprendere, concepire davvero: quanto si può da noi. Io non voglio dire che la nostra sarà l'ultima prova.
      Io dico: risolvere il problema del conoscere (della logica) è provare la identità come mentalità: provare la identità come mentalità è provare la creazione, giacchè la identità come mentalità è appunto l'attività creativa; dunque, risolvere il problema del conoscere è provare la creazione.
      - Provare la creazione! Ma la creazione provata è creazione necessaria, cioè non più creazione; la creazione provata vuol dire il contingente, la creatura, non più contingente, ma necessaria. Gioberti dice così, e dice benissimo: la creazione è un fatto; s'intuisce, non si prova!! -
      Questo timore, questo orrore contro la prova della creazione non è che un equivoco. Provare la creazione non vuol dire provare il contingente come contingente, questo o quel contingente; p. e. che la tale o la tale pietra, la tale o la tal pianta, ecc. ci deve essere.


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La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea
di Bertrando Spaventa
Editore Laterza Bari
1908 pagine 286

   





Fichte Schelling Hegel