Ho detto altra volta, che per Gioberti il creare non è l'Ente in quanto Ente, ma lo Spirito, cioè l'Ente come in sè due cicli in uno, e quindi non più semplice Ente. Ora Gioberti, dicendo: Ente semplicemente, esige una ontologia, una metafisica, una logica proprio nel nostro senso; giacchè il suo Ente non è altro che la identità fondamentale (della natura e dello spirito) come mentalità. In ciò differisce da Schelling, pel quale la Natura è il Primo, e tutta la logica si riduce all'intuizione intellettuale. Fate che l'intuito giobertiano sia cognizione immediata dell'Ente creante, e allora l'Ente creante, appunto perchè appreso immediatamente, non sarà altro, checchè ne dicano i giobertiani, che la stessa Natura di Schelling.
Si può dire: "Provare la creazione, anche in questo senso - nel nostro senso or ora spiegato - è fare necessario il contingente, creatore la creatura; lo spirito, in quanto prova la creazione, è lo stesso atto creativo". Ebbene, lo spirito è una creatura, è, se volete, un contingente; ma tal creatura, tal contingente, che si libera dal suo essere immediato, dalla sua contingenza, e diventa - come può - il necessario. Questa è la sua natura. Il nostro spirito crea, cioè prova, perchè è il ricreare. Questo è il senso delle parole di Gioberti: lo spirito è il contingente, fatto a immagine del necessario. Contingente è mimesi; contingente che si fa il necessario, è metessi, ritorno, ricreare.
Quando io dico: risolvere il problema del conoscere (e della logica) è provare il creare (la identità come mentalità), non esco fuori delle tradizioni della filosofia italiana, non mi ribello a questa filosofia (anche politicamente, pochi anni fa, eravamo tutti ribelli); sono anzi in piena filosofia italiana; esprimo un'esigenza, che è l'ultima esigenza della filosofia italiana.
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