Forse che la certezza sensibile, da cui io ho cominciato, sia davvero il Primo, e l'assoluto conoscere a cui sono arrivato, sia davvero l'Ultimo; che quella abbia prodotto questo, e non al contrario? Così pare; ma in verità non è così. Io devo conchiudere, che l'assoluto conoscere ha prodotto la certezza sensibile, l'Ultimo il Primo, e che perciò quel che appariva Primo è un falso Primo. Tutto quel processo, che pare produzione di un altro, di un Secondo o Ultimo da un Primo, è il vero Primo come produzione di se stesso. Non è la certezza sensibile, che prova l'assoluto conoscere, ma questo che, provando se stesso, prova quella.
Il pensiero immanente, dice Gioberti, si contempla per via del successivo. Ma ciò non cangia la natura di quello, non scema nè distrugge la sua intrinseca evidenza, e non fa sì che il suo valore dipenda da quello dello strumento per cui arriviamo ad esso. Il pensiero immanente non tira la sua credibilità dallo strumento con cui lo avvertiamo, ma si proclama vero per se stesso, anzi fa riverberare il suo proprio splendore sulla cognizione mediata, per cui ci leviamo insino ad esso
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Qui il pensiero immanente (il pensiero oggettivo, l'assoluto conoscere, l'intuito d'una volta) non è più semplice Primo o Immediato, ma Secondo o Mediato: noi arriviamo, ci leviamo all'Idea, non nasciamo più intuendo (conoscendo) l'Idea; il Primo è il pensiero successivo. E intanto il Pensiero immanente in quanto Ultimo si mostra come Primo, come mediatore di sè (si proclama vero per se stesso), e il Primo (il successivo) come Secondo (luce riverberata).
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