Dunque, accada quel che deve accadere. Spero, ripeto, che non accadrà niente.
Non ho più tempo di scriverti oggi. Tu intanto scrivimi a lungo. Papà e Isabella co' ragazzi stanno bene e ti salutano. Salutano con me anche Berenice con Raffaele e ragazzi. Mi dispiace che Berenice non sia ancora guarita. Ricordati di badare a' salassi, che a Torino fanno in gran copia. Falla curare da medici napoletani. E tu bada a' raffreddori. Scrivimi.
BERTRANDO.
P. S. Salutami Ciccone. E non dir niente a Massari di Gioberti e non Gioberti.
VI.
BERTRANDO a SILVIO.
Napoli, 8 febbraio '62.
Mio caro Silvio,
Dal giorno 29 del mese passato non ti ho scritto più, e oggi ti scrivo in fretta per dirti quel che è accaduto ieri all'Università. Io non ci era; nè era giorno di lezione per me. Ieri sono stato tutto il giorno in casa a pensare a Brama e a Budda, e uscendo la sera ho saputo cosa c'era stato. Un certo numero di giovani studenti, capitanati da qualche non studente, solito a farsi vedere in tutte le dimostrazioni - e studenti non dell'Università, ma degli studi privati, che sono qui numerosi come le formiche e forse più degli studenti - prima di mezzogiorno si presentano all'Università, vanno alla Biblioteca, pigliano la bandiera (la piglia quel tal capitano), e giù per le scale, per la corte, a gridare e schiamazzare: abbasso il Rettore, abbasso Settembrini, abbasso i professori che non fanno lezione, viva Gioberti, abbasso Hegel, viva Rosmini e la filosofia italiana, abbasso la filosofia tedesca, viva Mandoi!
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