Per verità, non era necessario ch'io rispondessi; ma come mai mortificare quel ragazzo che diceva con gli occhi: - Non ho io forse ben fatto?
- Va tutto bene, La Fleur - dissi; e bastò. Spiccasi, che parea lampo, di camera; torna col calamaio, e con l'altra mano piena di penne e di fogli; accostasi al tavolino; m'apparecchia ogni cosa davanti, mostrando in vista tal compiacenza, ch'io non ho potuto non pigliare la penna.
Cominciai, ricominciai; e, sebbene io dovessi dir poco o nulla, e quel nulla potesse esprimersi in mezza dozzina di righe, imbrattai di varj esordj mezza dozzina di fogli; né v'era verso ch'io mi appagassi.
La Fleur uscí, e mi recò in un bicchiere un po' d'acqua da stemperarmi l'inchiostro; mi provvide di cera-lacca e di polverino. Tant'era, scrissi, riscrissi, cassai, stracciai, arsi, riscrissi:
- Le diable l'emporte! - borbottai meco tra' denti - ch'io non sappia scrivere una misera lettera! - E gittai disperato la penna.
Gittai la penna; e La Fleur accostandosi ossequioso, e con preghiere senza fine implorando ch'io gli perdonassi l'ardire, mi confidò che un tamburino del suo reggimento aveva scritto alla moglie d'un caporale una lettera.
- E la ho qui in tasca - diss'egli - e spero che farà forse a proposito.
A me non dispiaceva che quel povero giovinotto si sbizzarrisse.
- L'avrò caro - gli dissi - fa' ch'io la veda.
Ed ecco fuor di tasca di La Fleur un piccolo taccuino miseramente logoro, traboccante di letterine mal conce e di billets doux; e posandolo sul tavolino, e slacciando una stringa che legava ogni cosa, andò uno per uno scartabellando quei fogli, finché adocchiò la lettera sospirata.
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La Fleur Fleur La Fleur La Fleur
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