VITA E OPINIONIDI TRISTANO SHANDY GENTILUOMO
(VOL. IX, CAP. XXVIII)
Erano le piú dolci note ch'io avessi udito mai: e calai tosto il cristallo per udire distintamente.
- È Maria - dissemi il postiglione, il quale s'avvide ch'io stava attento. - Povera Maria! - e si chinò da un lato, perch'egli stava in linea retta e temeva ch'io non potessi vederla - eccola lí, seduta a quel greppo, sonando i vespri sul flauto, con la sua capretta da canto.
E queste parole furono da quel giovinotto proferite con accento e con volto sí concordi a' moti d'un cuore pietoso, ch'io feci subito voto di dargli una moneta di ventiquattro soldi tosto ch'io fossi a Moulins.
- E chi è la povera Maria? - gli diss'io.
- È l'amore e la pietà di tutto il contado qui attorno - risposemi il postiglione. - Il Sole, tre anni fa, non risplendeva sul viso di veruna fanciulla né piú spiritosa, né piú amabile di Maria; povera Maria! tu non meritavi che le tue nozze ti fossero interdette per le brighe del curato della parrocchia.
E seguitò a dirmi, come il curalo aveva fatte già dall'altare le denunzie di quelle nozze.
Se non che Maria, che s'era un po' riposata, s'accostò il flauto alla bocca, e ripigliò la sua aria; ed erano le medesime note, ma dieci volte piú soavi.
- Questo è l'Ufficio della sera alla Vergine - disse il ragazzo - né si sa chi a lei l'abbia insegnato, né come riesca a sonarlo sul flauto; noi crediamo che il cielo per sua misericordia la ispiri; perché dal dí ch'ella è fuori di sé, pare che non trovi verun'altra consolazione; non si lascia uscire di mano quel flauto, e sona l'Ufficio quasi dí e notte.
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