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      Giorgio, non meno intelligente che bello, e di gentili maniere, si era attirato ben presto tutti i cuori nella fabbrica.
      Nondimeno, perché innanzi alla legge egli non era un uomo, ma una cosa, le eminenti sue qualità rimanevano sotto il dominio d’un padrone stupido, volgare e tiranno. Avendo questi sentito parlare della famosa invenzione di Giorgio, volle un giorno andare a vedere che cosa quella sua proprietà intelligente avesse fatto. Il fabbricante si congratulò con lui che fosse possessore di uri simile schiavo.
      Ed eccolo a visitar la fabbrica, guidato da Giorgio stesso, il quale, con sembiante giulivo e animato, gli fa vedere le macchine, ma porta sì alta la fronte, parla sì correttamente, apparisce sì bello e sì virile ad un tempo, che il suo padrone, ascoltandolo e seguendolo con lo sguardo, non può a meno di sentire la propria inferiorità. Perché mai doveva quello schiavo correre il paese, inventar macchine, e tener alta la fronte come se fosse un gentleman?
      «Ma» diceva tra sé «lo concerò io per il dì delle feste, e quando bisognerà vangare e zappare, vedremo che cosa sarà della stia superbia!»
      Perciò richiese il pagamento dovuto per il nolo di Giorgio, e, con stupore di tutti, dichiarò la sua intenzione di ricondurselo immediatamente a casa.
      — Ma, signor Harris, — gli osservò il fabbricante — questa determinazione non è troppo subitanea?
      — E quando ciò fosse, costui non è forse cosa mia?
      — Noi saremmo disposti, signore, a pagarvelo di più.
      — È inutile, ho ripensato bene: io non mi trovo in tal bisogno di dare a nolo i miei schiavi.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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