Lo pregai di desistere, con quella maggiore urbanità che mi fu possibile, ma egli continuò. Rinnovai la preghiera, ed egli mi rispose col darmi dei colpi. Provai allora di tenergli la mano, ma il manigoldo si pose a gridare, e corse a dire ch’io l’avevo battuto. Suo padre s’infuriò.
«— Ti farò veder ben io chi è il tuo padrone! — egli disse.
«E legatomi ad un albero, tagliò delle bacchette che diede a suo figlio, dicendogli di flagellarmi finché fosse stanco. E così fece. Ma io glielo farò ricordare un giorno. —
La fronte di quell’uomo s’offuscò, ed i suoi occhi scintillavano d’una luce sinistra che fece tremare sua moglie.
— Con qual diritto costui è il mio padrone? Ecco quello che voglio sapere! — egli esclamò.
— Ma... — disse mestamente Elisa — io credetti sempre che bisogna obbedire al proprio padrone e alla propria padrona, e che senza ciò non sarei cristiana.
— Per te, già s’intende; ti allevarono come loro figlia, ti nutrirono, ti vestirono, ti colmarono di carezze, ti fecero istruire: hanno un certo diritto sopra di te. Ma io fui battuto, schernito, abbandonato. Che dovere mi lega al mio padrone? Io mi riscattai cento volte col mio lavoro; non voglio rimanere più a lungo in un simile stato. No, non voglio! — esclamò con voce minacciosa ed energica.
Elisa restò muta e tremante.
Era certamente la prima volta che vedeva il suo Giorgio in quella disposizione d’animo, e la sua indole tutta dolcezza pareva piegarsi come un giunco al soffio di quella violenta collera.
— Ti rammenti del cagnolino che mi avevi dato?
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Elisa Giorgio
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