E chi crederebbe che la sera egli venga a ripeterci le sue lezioni? Oh, è una stupenda cosa davvero!
— Ma, zia Cloe, — disse Giorgio — io incomincio a sentire una maledetta fame. La torta che avete messa in forno deve essere ormai cotta.
— Sì, fra pochi istanti, padroncino Giorgio, — riprese la zia Cloe, sollevando cautamente il coperchio per gettarvi un’occhiata. — Sì, colorisce bene, prende un aspetto magnifico. Oh, lasciate fare a me! L’altro giorno Sully voleva provarsi a, farne una; io glielo permisi, tanto per insegnarle. Ma presto dovetti scacciarla di cucina. Non posso veder sprecare tante cose buone. La torta era tutta gonfia da una parte; aveva forma di torta come la mia scarpa. Via, via! Tanto lo so: certe cose debbo farle da me. —
E così dicendo, piena di dispregio per l’ignoranza di Sully, la zia Cloe sollevò il coperchio della teglia, e lasciò vedere una torta perfettamente cotta, di cui non si sarebbe vergognato il più abile pasticciere d’una grande città.
Era questa la pietanza principale, e, vedutala proprio a tiro, la zia Cloe corse lietamente a metterla in tavola.
— Suvvia, Pietro e Mosè, fatevi indietro, negrettini impertinenti; lasciatemi passare, lesti! Via di qua anche tu, Dolly; la mamma ti farà buscare qualche cosa. Ora, padroncino Giorgio, potreste sbarazzar la tavola dei vostri libri e prender posto accanto al mio vecchio. Io vi metterò innanzi le salsicce, e in un batter d’occhio avrete il piatto pieno di leccornie.
— Volevano che io cenassi in casa, — disse Giorgio — ma invece son venuto qui perché sapevo che c’era qualche cosa di buono.
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