Quella sua insolita occupazione le fece tornare a mente il colloquio avuto la mattina con la giovane meticcia; e rivoltasi al marito gli domandò con indifferenza:
— A proposito, Arturo: chi era quel volgare individuo che hai condotto a pranzo oggi?
— È un certo Haley, — rispose Shelby movendosi sulla poltrona, senza distoglier gli occhi da una lettera.
— Haley? Chi è costui, e quali affari può aver teco?
— E un uomo col quale trattai alcuni interessi nel mio ultimo viaggio a Natchez.
— Ed egli, come fosse di casa, è venuto, senza tanti complimenti, a chiederti da pranzo?... Ma benissimo!
— No, l’ho invitato io: avevamo alcuni conti da regolare insieme.
— Sarebbe mai un mercante di schiavi?— chiese la signora Shelby, avvedutasi dell’imbarazzo di suo marito.
— Mia cara, chi t’ha suggerito quest’idea? — domandò il signor Shelby, alzando gli occhi dalla lettera.
— Nessuno. Solamente, Elisa è venuta a trovarmi dopo pranzo, tutta agitata; ella asseriva che tu stavi parlando con un mercante di schiavi, e che questi ti proponeva di vendergli il suo figlioletto. Si può immaginare una simile puerilità?
— Davvero! — disse il signor Shelby rimettendosi a leggere con la più grande attenzione, senza avvedersi che teneva la lettera a rovescio. «Bisognerà pure alla fine dire la verità!» pensava frattanto. «Tant’è ch’io lo faccia subito.»
— Io ho dato all’Elisa di pazza, — continuò la signora Shelby, ravviandosi i capelli col pettine — e le ho assicurato che tu non hai nulla da fare con quella razza di gente; so bene che tu non avesti mai il pensiero di vendere alcuno dei nostri schiavi, specialmente poi ad un tale individuo.
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