Quando ogni cosa ritornò in silenzio, ella uscì senza strepito, pallida, tremante, con le labbra serrate e con animo risoluto. Elisa non rassomigliava più alla timida e mite creatura ch’era stata conosciuta fino a quel giorno.
Tacita e leggerissima percorse il corridoio, si fermò un istante dinanzi alla porta della padrona alzando le mani come per prendere il cielo a testimone, e rientrò furtivamente nella sua camera.
Era una graziosa stanzetta del medesimo piano. Qui, la finestra esposta al sole, vicino alla quale poche ore prima la giovane meticcia lavorava cantando; là, alcuni libri guarnivano gli scaffali d’una piccola biblioteca sopra cui si vedevano altresì ninnoli, trastulli, e altri lavoretti di fantasia, regalucci delle feste di Natale. Entro al cassettone e nell’armadio stavano tutti i suoi vestiti; insomma quella era la sua modesta dimora, ed Elisa vi aveva passato ore felici.
Ma là, su quel letto, dorme il suo figliolino. Le anella dei suoi capelli gli scendono sulle rotonde guance, la rosea bocca è socchiusa, le mani paffutelle riposano sulla coltre, e un sorriso, come raggio di sole, rischiara il volto angelico.
— Povero Enrico! Povero figlio mio! Ti hanno venduto, ma tua madre ti salverà! —
Non una lacrima cadde sopra il guanciale. In tali momenti il cuore non ne ha pur una da versare: il cuore non ha allora che sangue... e lo versa stilla a stilla, in silenzio. Elisa prese una matita e si pose a scrivere in fretta: «O padrona, mia cara padrona! Non credetemi ingrata, non mi giudicate con troppa severità! Ho udito tutto ciò che voi e il mio padrone avete detto, e tento ora di salvare mio figlio.
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Natale Elisa Enrico
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