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      Ma voi, ah, no, voi non mi biasimerete! Così Dio vi benedica e vi ricompensi di tutte le vostre bontà.»
      Dopo aver piegato rapidamente questo biglietto e scrittovi l’indirizzo, Elisa trasse dal cassettone alcuni vestiti, li pose in una pezzuola che ella s’annodò fortemente alla vita, e tale è la tenera sollecitudine di una madre, che in quegli istanti di terrore ella pensò perfino a prender seco il balocco preferito del fanciulletto: un pappagallo di cartone dipinto a vivi colori, che fu destinato ai trastulli di Enrico quando si fosse destato.
      Elisa durò qualche fatica a svegliare il piccolo dormiente, ma dopo alcuni sforzi Enrichetto aprì gli occhi e si pose a baloccarsi con l’uccello dipinto, intanto che sua madre completava i preparativi del loro viaggio.
      — Dove vai, mamma? — domandò egli quando Elisa s’avvicinò per vestirlo.
      Sua madre fissò gli occhi ne’ suoi, guardandolo così seriamente, che Enrichetto capì subito come qualche cosa di straordinario avvenisse.
      — Zitto, Enrico; — diss’ella — parla più sommesso che puoi, se no, ci udirebbero. Un cattivo omaccio vuol portar via il mio Enrichetto lontano lontano dalla sua mamma, in un logaccio nero nero. Ma zitto, la mamma non vuole: essa gli metterà il suo cappello e il suo mantellino e fuggirà col suo caro bimbo; e così quel brutto omaccio non lo porterà via. —
      Mentre parlava, Elisa andava vestendo il fanciullo e, vestito che l’ebbe, lo prese tra le braccia, raccomandandogli il più assoluto silenzio; uscì poi con gran precauzione dalla porta della veranda.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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