La notte era fredda e chiara, il cielo era seminato di stelle; la povera madre avviluppava strettamente il suo figliolino nello scialle, mentre, muto dallo spavento, egli le allacciava il collo con le braccia.
Al loro appressarsi, il vecchio Bruno, grosso cane di Terranova, fece udire un sordo brontolio.
Elisa lo chiamò a bassa voce, e il fedele animale, suo antico compagno di giuochi, si pose a seguirla dimenando la coda. Ben pareva ch’egli, nella sua mente di cane onesto, andasse fantasticando sul significato di quest’insolita passeggiata notturna, poiché mentre Elisa camminava innanzi pian piano, Bruno si fermava di quando in quando, e guardava, quasi volesse interrogarla, ora la giovane sua amica ed ora la casa; poi, rassicurato probabilmente dalle sue riflessioni, si rimetteva sulle tracce di quella.
In pochi minuti giunsero alla capanna dello zio Tom, ed Elisa bussò leggermente ai vetri della finestra.
L’adunanza religiosa e i canti devoti avevano durato fino a tardi. Siccome quando l’assemblea fu sciolta lo zio Tom rimase lì solo a meditare fino ad ora avanzata, accadde che in quel momento, benché fosse oltre la mezzanotte, né lo zio Tom né la sua degna metà dormivano ancora.
— Dio buono, che c’è? — esclamò la zia Cloe, alzandosi all’improvviso e tirando la cortina in gran fretta. — Misericordia! Credo che sia Elisa. Su, indossa i tuoi abiti, vecchio mio, e presto. Oh, guarda, c’è anche Bruno, che raspa anch’esso all’uscio! In nome del cielo! Che c’è mai? Vado ad aprire. —
E detto fatto la zia Cloe aperse la porta.
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