Il lume che lo zio Tom aveva acceso in quel mentre nella camera rischiarò il viso pallido e gli occhi scuri e smarriti della fuggiasca.
— Signore! Hai una cera che mi fai paura, Elisa! Stai male? Che t’è accaduto?
— Io fuggo, zio Tom, zia Cloe, e porto via meco mio figlio: il nostro padrone lo ha venduto.
— Venduto! — gridarono quelli, con un gesto di spavento.
— Sì, venduto, — ripeté Elisa con voce ferma. — Questa sera, celata nel gabinetto attiguo alla camera della signora, ho udito il padrone dirle ch’egli aveva venduto il mio Enrico e voi, zio Tom, a un mercante di schiavi. Egli ha l’intenzione d’allontanarsi stamani, intanto che il mercante verrà qui a prendervi. —
Durante questo discorso lo zio Tom era rimasto attonito e con le mani alzate. Dapprima gli parve un sogno: ma quando poi ebbe còlto il senso delle parole di Elisa, cadde sopra una seggiola e si prese il capo con le mani.
— Il Signore abbia pietà di noi! — esclamò la zia Cloe. — Ma no, — ella soggiunse — non è possibile! Che ha fatto egli dunque per meritarsi che il padrone lo venda?
— Nulla ha fatto; il padrone vorrebbe pure tenerlo seco; e la signora, oh, se l’aveste udita pregare e supplicare per voi! Ma egli le rispose che tutto era inutile, ch’egli si trovava a discrezione di quell’uomo, e che se non vi vendeva, zio Tom, sarebbe stato costretto a disfarsi di ogni cosa sua ed a sgombrare di qua. E la padrona, che angelo!... Se non è cristiana lei, non ve ne fu altra giammai. Vedo che faccio male abbandonandola: ma posso fare diversamente?
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