— È un fatto che un cattivo vento spira ora per di qua, — disse Samuele sentenziosamente, dando una tirata in su ai propri calzoni e sostituendo un lungo chiodo dove mancava il bottone da sospendere lo straccale, della qual prova d’ingegno meccanico pareva arcicontento. — Sì, — ripeté — Tom è caduto, e per conseguenza si fa posto per qualcuno. E perché non per me? Questa è la mia idea. Tom se ne andava intorno cavalcando per il paese, con gli stivali ben lustrati, col suo passaporto in tasca, alla grande, insomma; e perché non sarebbe la medesima cosa per Samuele? Questo è ciò che non so comprendere.
— Olà, oh, Sam, Sam! — gridò allora Audy, interrompendo quel soliloquio. — Lesto: il padrone ha ordinato di metter le selle a Bill e Jerry.
— Che? C’è qualche novità, ragazzo mio?
— Non sapete dunque nulla? Mi pare che Elisa abbia fatto fagotto e se la sia battuta portando via il suo bambino.
— Per chi mi hai preso tu? — replicò Samuele con un altissimo disprezzo. — Ecco un babbeo che pretende di far da maestro a sua nonna. Io lo sapevo prima di te. Sono tutt’altro che un semplicione, io!
— Bene; ad ogni modo il padrone vuol che si allestiscano Bill e Jerry, e che noi corriamo insieme col signor Haley sulle tracce di Elisa.
— Buon per me, ecco il gran momento! — disse Samuele. — Si brama adesso che Samuele presti l’opera sua: egli è il negro che bisogna. Oh, non c’è da temere ch’essa mi scappi di mano! Il padrone vedrà la mia bravura.
— Eh, adagio, Sam, non tanta fretta! La padrona non ha nessuna premura ch’ella sia raggiunta; bada alla tua pelle.
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