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Samuele corse allora in gran fretta ad eseguire la faccenda ordinatagli, e dopo brevi istanti si vide tornar baldanzosamente di galoppo con Bill e Jerry; non meno destro che un cavallerizzo di professione saltò giù da cavallo prima d’essere al luogo della fermata.
Il cavallo di Haley, puledro molto ombroso, diedesi a nitrire e menar calci, ed a tirare la cavezza.
— Oh, oh! — disse Samuele. — Tanto permaloso? — E la sua nera faccia si atteggiò ad un’espressione curiosa di malignità. — Ora ti acquieto io. —
Un frondoso faggio adombrava il terreno, tutto sparso ancora di faggiuole triangolari. Samuele, con uno di questi frutti tra le dita, s’accosta al puledro, lo accarezza, lo palpa, e finge d’adoprarsi a calmarne l’agitazione.
Poi, col pretesto di aggiustare la sella, introduce destramente la faggiuola tra essa e il fianco dell’animale, in modo che il minimo peso doveva irritarne la sensibilità nervosa senza lasciare alcuna traccia o spelatura.
— Eccolo domato! — diss’egli con un riso di maligna soddisfazione.
In quel momento la signora Shelby si affacciò al balcone e gli fe’ cenno di appressarsi.
Samuele obbedì con quella premura ossequiosa con cui un postulante sollecita il conseguimento di una grazia a Saint-James o a Washington.
— Perché te ne stai lì a fare il poltrone, Samuele? Andy non ti ha detto di spicciarti?
— Dio vi benedica, signora: i cavalli non si lasciano prendere tutte le volte che si vorrebbe: erano alla pastura nel basso, e sa Dio quanto lontano.
— Samuele, e ti ho sempre da ripetere che non si deve esclamare ad ogni tratto: Dio vi benedica e sa Dio?
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