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TRASPORTO DELLA MERCE.
Era sorta un’alba rossastra e piovigginosa, e la sua debole luce rischiarava nella capanna dello zio Tom visi abbattuti, immagini della tristezza di quei desolati cuori. Dinanzi al focolare erano stese, sulla spalliera d’una seggiola, un paio di camicie ruvide ma di recente lavate. Più in là, ritta dinanzi a un tavolino, la zia Cloe ne stirava un’altra col ferro caldo, e spesso si portava la mano al viso per asciugare qualche lacrima che le scorreva sulle guance.
Tom le era seduto accanto, con la Bibbia aperta sulle ginocchia e la testa appoggiata a una mano. Tacevano entrambi.
Era di buon mattino, e i fanciulli dormivano ancora nel loro rozzo lettuccio.
Tom possedeva un cuore tenerissimo e nutriva quei domestici affetti che, per maggiore sventura, sono uno dei tratti caratteristici della sua infelice razza.
Egli sorse in piedi, e avvicinatosi ai suoi figli stette lungamente a guardarli in silenzio.
— È l’ultima volta, — disse.
La zia Cloe non rispose; il suo ferro passava e ripassava ancor più alacremente sulla ruvida camicia, fatta già tanto liscia quanto si poteva; poi, smettendo improvvisamente, con un atto da disperata, si gettò a sedere dinanzi alla tavola e disse piangendo:
— So bene che bisognerà darsi pace. Ma, Signore Iddio, come si ha da fare? Sapessi almeno dove vai e come sarai trattato! La signora accerta che fra un anno o due ti ricomprerà. Ma nessuno ritorna di laggiù! Vi ammazzano! Ho sentito ben io raccontare come li trattano, nel Sud!
— Lo stesso Dio che è qui, o Cloe, vorrà assistermi colà pure.
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