— Basta, Cloe! Se tu m’ami, non parlar così, mentre è forse l’ultima volta che discorriamo tra noi. Vedi, Cloe, mi trafigge l’anima un solo detto pronunziato contro il mio padrone. Non fu egli messo nelle mie braccia piccino? Non è ben naturale che io pensi a lui prima d’ogni altra cosa? E si può mai credere che io non gli sia sempre grato dell’affetto ch’egli ebbe per me? I padroni sono avvezzi ad aver da noi tutte queste cose, e naturalmente non ne fanno gran caso. Bisogna farsene una ragione. Ma paragona il nostro padrone con altri. Dov’è uno schiavo che abbia avuto trattamenti migliori di quelli che io ebbi finora? Io son certo che non avrebbe lasciato giungere le cose a questo punto, se avesse potuto prevederlo.
— Tu hai un bel dire, veh! Ad ogni modo è male, — rispose la zia Cloe, nel cui petto predominava un sentimento ostinato del giusto e dell’ingiusto. — Non saprei ben dire in che, ma sento che c’è del male; ne ho la certezza.
— Dovresti innanzi tutto guardare in alto verso Colui senza il quale non può cadere un sol capello dalla nostra testa.
— Ciò non è bastevole a confortarmi, eppure dovrebbe esserlo; — disse la zia Cloe — ma a che pro parlarne?... Oh, la focaccia è cotta, e farò meglio a imbandirti la colazione, perché nessuno sa quando ne avrai un’altra! —
Per ben giudicare dei patimenti a cui vanno soggetti i negri venduti negli Stati meridionali situati presso la foce del Mississipì, convien rammentarsi che tutti gli affetti istintivi di questa razza sono singolarmente profondi.
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