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      L’amore che prendono ai luoghi in cui vissero è di una maravigliosa tenacia. Essi non sono per natura né arditi, né intraprendenti, ma casalinghi e amorevoli.
      A questa disposizione si aggiungano i terrori che l’ignoto ispira ad essi, e l’abitudine che ai negri si da, fin dalla loro fanciullezza, di credere che il venderli per il Sud sia il più tremendo castigo. La minaccia di scendere giù per il fiume reca ad essi maggiore spavento che quella della flagellazione o della tortura.
      Noi li udimmo più volte esprimere un tal sentimento, e vedemmo l’ingenuo terrore con cui narrano, nelle ore di riposo, le atrocità che si commettono di là dal fiume, in quel paese che è per essi «L’ignota terra donde mai non torna Pellegrino vivente».
      Un missionario che dimorò fra gli schiavi fuggitivi, nel Canada, riferisce che parecchi di costoro confessano di aver preso la fuga dalle case di padroni piuttosto umani e discreti, ma che a quel passo pieno di pericoli erano stati indotti quasi sempre dal disperato orrore con cui considerano l’esser venduti agli abitanti del mezzodì; minaccia che ognora pende sul capo loro e su quello delle loro mogli e dei loro figli: e ciò infonde nell’affricano, paziente per natura, timido e indolente, un coraggio eroico, e lo muove a sfidare la fame, il freddo, gli stenti, i pericoli del deserto, e quelli più terribili ancora che lo aspettano qualora sia preso.
      Il semplice pasto del mattino già fumava sopra il desco, perché la signora Shelby aveva quel giorno esonerato la zia Cloe dal consueto servizio della casa dei padroni.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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