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      — Adesso bisognerà che io metta in ordine tutti i tuoi abiti, — disse la zia Cloe, che davasi un gran daffare. — Già, è lo stesso che niente, lo so: ben conosco quella gentaglia, abietta come il fango!... Ecco qua i tuoi corpetti di flanella per preservarti dal reuma; abbine gran cura, perché nessuno te ne farà più quando saranno logori. Ecco le tue vecchie camicie, ed eccone là alcune nuove. Ho finito iersera queste calze, e dentro ho messo il gomitolo per accomodarle. Ma chi te le accomoderà? —
      E la zia Cloe, conturbata novamente, appoggiò la testa sopra la cassa e si pose a singhiozzare.
      — Ah, non posso pensarci! Nessuno più prenderà cura di te, malato o sano! Ma come, come farò ad esser buona con costoro, d’ora innanzi? —
      I fanciulli, fatte sparire le ultime tracce della colazione, incominciavano a prender parte a ciò che avveniva nella capanna; vedendo piangere la madre e stare in profonda tristezza il padre, si posero a piagnucolare anch’essi.
      Lo zio Tom aveva preso la bimba sulle ginocchia e lasciava che si scapricciasse a suo bell’agio nel graffiargli il viso e nel tirargli i capelli, e di quando in quando a dar balzi e risolini come segno di qualche suo strano pensiero.
      — Sì, sì, godi e salta, tapinella! — disse la zia Cloe. — Anche per te verrà tempo di piangere. Tu vivrai per veder tuo marito venduto o per esser venduta tu stessa. E anche questi fanciulli me li prenderanno, suppongo, appena saranno buoni a qualche servigio. Che giova a noi, poveri negri, l’aver cosa alcuna?


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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