Fosse un cappello di feltro o di foglie di palma, di castoro o di seta, il modo in cui era messo sulla testa dava la nota caratteristica di ciascun individuo.
Alcuni lo portavano libertinamente inclinato sull’orecchio, ed erano i bontemponi, i gaudenti, nemici delle cerimonie; altri lo avevano calcato fin sul naso, ed erano i caratteri fermi, arditi, uomini insomma che portavano il cappello perché volevano portarlo, e portarlo a modo loro. Ve ne erano vari che lo portavano all’indietro, ed erano uomini svegli ed accorti che volevano veder chiaro da lungi, mentre gli uomini spensierati, che poco si curavano del cappello, se lo mettevano in capo come andava andava.
Parecchi negri dalle ampie brache, i cui movimenti non erano impacciati da altre vesti, facevano un continuo andare e venire nella sala, senza che tanta alacrità producesse alcun notevole resultato. Ad ogni modo essa dimostrava un gran desiderio di mettere tutto sossopra nel mondo a vantaggio del padrone e dei suoi ospiti. Aggiungasi a cotesto quadro un fuoco allegro e scoppiettante in un vastissimo camino, una porta e varie finestre tutte spalancate delle quali un vento umido e freddo faceva svolazzare le cortine, e avrete un’idea completa della gaiezza d’una locanda del Kentucky.
Il kentuckiese dei tempi nostri è una prova vivente della trasmissione degl’istinti e delle singolarità caratteristiche di una razza. I padri suoi erano grandi cacciatori che vivevano nei boschi, dormivano sotto la libera volta del cielo, e non avevano altra lampada che le stelle; e il loro discendente fino ad oggidì opera ancora come se la sua casa fosse un campo: ha sempre il cappello in testa, si getta e si sdraia sulla prima suppellettile che trova, e mette i calcagni sulla spalliera delle seggiole o sul camino, appunto come i suoi padri si gettavano sull’erba e appoggiavano i talloni ai tronchi d’alberi.
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Kentucky
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