Dalla famiglia paterna, una delle più orgogliose del Kentucky, egli aveva ereditato leggiadre sembianze europee, non meno che un’indole altera, indomabile. Da sua madre aveva ricevuto solamente una leggera tinta di mulatto, ampiamente ricompensata dallo splendore di grandi occhi neri. Un piccolo cambiamento nel colore della sua carnagione e dei capelli era stato bastante per trasformarlo in un viso da spagnuolo; e siccome la grazia dei movimenti e la gentilezza dei modi erano in lui perfettamente naturali, egli non aveva da durar la minima fatica per sostenere arditamente la parte che si era assunta, quella di un gentleman che viaggia con un servo.
Il signor Wilson, ottimo uomo, ma timido e troppo riguardoso, passeggiava in su e in giù per la camera dando segni d’interno turbamento e diviso tra la brama d’esser utile a Giorgio ed una certa nozione confusa del dovere di far rispettare le leggi e l’ordine.
Continuando a passeggiare innanzi e indietro, così esprimeva i pensieri che lo agitavano:
— Or bene, Giorgio, io m’avvedo che fuggite; voi abbandonate il vostro legittimo padrone; non ne stupisco, ma ne sono dolente, sì, proprio dolente; non abbiatevelo a male, Giorgio, ma è mio dovere di dirvelo.
— Di che siete dolente, signore? — domandò Giorgio con pacatezza.
— Di che? Di vedervi, per così dire, fare opposizione alle leggi della vostra patria.
— Della mia patria? — disse Giorgio con viva e amara enfasi. — Qual patria ho io fuorché la tomba? Volesse Iddio che vi fossi già coricato!
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