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      — Tanta è l’audacia in me, e tanta la prossimità dell’osteria, che nessuno penserà a ciò. Cercheranno di me più lontano; voi stesso, signor Wilson, non potevate credere che fossi io. Il padrone di Gim non dimora in questa contea, ed egli non vi è conosciuto. Oltre ciò, è stato abbandonato il pensiero di ritrovarlo: nessuno più lo cerca, e nessuno ravviserà me, secondo la descrizione data, non è vero?
      — E il marchio della vostra mano? — Il mulatto si tolse il guanto e mostrò una cicatrice non ancora ben rimarginata.
      — Questa è un’ultima prova della bontà del signor Harris, — diss’egli con cera beffarda. — Son quindici giorni da che gli saltò in mente di darmela, poiché diceva d’esser persuaso che io avevo idea di fuggire alla prima occasione. E però ben cancellata, non è vero? — soggiunse nel rimettersi il guanto.
      — In verità, il sangue mi s’agghiaccia addosso quando penso ai pericoli che correte.
      — Il mio m’è rimasto agghiacciato nelle vene abbastanza a lungo, signor Wilson; ora è bollente, — disse il mulatto. E dopo un istante di silenzio, continuò:
      — Mio buon signore, quando ho visto che mi avevate riconosciuto, ho creduto bene informarvi di tutto, per timore che la vostra sorpresa fosse cagione di farmi scoprire. Io proseguirò il mio viaggio domattina all’alba, e spero di addormentarmi domani sera con animo tranquillo e sicuro nello Stato dell’Ohio. Viaggerò di giorno, smonterò alle migliori locande, mi porrò alla mensa comune coi signori del paese. Dio vi conservi dunque, signor Wilson; se udite che son preso, potete aver la certezza che son morto.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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