Tom le si avvicinò, e provò a dirle qualche parola; ma ella non cessava dal gemere. Egli le parlò dolcemente, e con le lacrime agli occhi, di un cuore che si delizia nel pensare al Cielo, di un Dio misericordioso e della patria eterna; ma gli orecchi di lei erano sordi per l’ambascia, ed il suo cuore esulcerato non aveva più sentimento di nulla.
Sopravvenne la notte, placida, immobile, raggiante, e innumerevoli stelle parevano miriadi d’occhi angelici rivolti alla terra, scintillanti e leggiadri, ma silenziosi. Da quel cielo lontano non scendeva parola compassionevole, non atto consolatore.
Tutte le voci di affari e di allegrezza tacquero a poco a poco. Tutti i passeggeri dormivano entro il piroscafo, e si poteva udire distintamente il lieve mormorio delle acque solcate dalla prora.
Tom si sdraiò sopra una balla di merci, e prima che lo prendesse il sonno gli giungeva di quando in quando all’orecchio il singhiozzare della povera creatura accasciata accanto a lui.
— Ah, che sarà di me! Dio, buon Dio, soccorretemi! —
E così tratto tratto si udiva questo gemito, che moriva tosto nel silenzio universale.
Nel cuor della notte Tom si svegliò d’improvviso. Un oggetto nero indistinto passò rapidamente presso a lui, correndo verso il parapetto del naviglio. Un istante dopo egli udì il tonfo di un corpo cadente nell’acqua. Niun altro vide, né udì cosa alcuna. Egli alzò la testa: il luogo prima occupato dalla donna era vuoto. Si alzò, camminò a tentoni intorno, ma invano. Quel povero desolato cuore aveva cessato di battere, e le onde si frangevano e scorrevano calme come prima.
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Cielo Dio Dio Tom
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