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      Eccoci in un’ampia e bella cucina sul cui pavimento giallognolo, nitido e luccicante, non troveresti un granello di polvere; ecco una fila di fornelletti anneriti, un’altra fila di cazzaruole tutte lustre che fanno pensare involontariamente a ghiotti bocconi. Qua e là alcuni solidi seggioloni tinti di verde; una piccola scranna a dondolo, attentamente lavorata e ricca di vaghe intarsiature; lì vicino, una poltrona le cui larghe braccia invitano al riposo, una poltrona di antica forma, degnissima d’essere anteposta a una dozzina di eleganti sofà moderni; e seduta su quella, con gli occhi chini sul lavoro, sta la nostra buona Elisa.
      Sì, eccola, quantunque più pallida e più magra che non fosse in casa dei Shelby. Un dolore latente aveva visibilmente alterato le sue sembianze: ma se il suo cuore era invecchiato, s’era altresì rinvigorito sotto il flagello delle afflizioni, e quand’essa sollevava gli occhi verso il suo Enrichetto, che, simile a un farfallino dei tropici, le andava svolazzando intorno, si scorgeva ne’ suoi sguardi una profondità di fermezza e di risoluto coraggio, che non si sarebbe vista in essa nel suo trascorso tempo felice.
      Seduta al fianco d’Elisa, una donna che teneva sopra le sue ginocchia un recipiente di stagno, era tutta intesa a scegliere e disporre simmetricamente pesche disseccate.
      Aveva dai cinquantacinque ai sessantenni, ma il suo viso era di quelli che il tempo sembra non aver tocchi se non per renderli più belli. Una cuffia di tulle increspato, bianca come neve, un semplice fazzoletto di mussolina incrociato sul petto, una veste ed uno scialle grigio, facevano ben conoscere a qua! religiosa comunanza ella appartenesse.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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