Elisa finalmente si addormentò, cosa che non le era avvenuta dopo quella notte orribile in cui, col fanciulletto in braccio, era fuggita rischiarata dalle stelle.
Sognò un paese oltremodo bello e ridente, una terra piena di dolcezze, verdeggianti rive, amene campagne, acque limpide e fresche, e colà, in una abitazione che amorevoli voci l’avvisavano esser sua, ella vedeva saltellare il suo fanciulletto libero e felice. Udì il rumore dei passi di suo marito, lo sentì avvicinarsi; le sue braccia la stringevano, le sue lacrime le cadevano sul viso: ed ella si svegliò...
Non era un sogno!
Già da un pezzo il giorno se n’era andato: il suo bimbo le dormiva placidamente al fianco; dalla lampada veniva una luce incerta, e suo marito appoggiava il capo, singhiozzando, al suo guanciale.
La mattina dopo fu gran festa nell’abitazione dei quacqueri.
La madre, alzatasi all’alba, era circondata dai suoi giovinetti e fanciulle, che noi non avemmo il destro di presentare al nostro lettore, tutti affaccendati nell’aiutarla, e obbedienti alle dolci esortazioni di Rachele che diceva loro:
— Non sarebbe meglio che tu facessi a questo modo? Non dovresti far così? —
Nelle fertilissime valli dello Stato d’Indiana, una colazione è un affare complicato, e richiede la cooperazione di molti. John corre ad attinger acqua alla fonte: Simeone il giovane passa allo staccio la farina per le frittelle; Maria attende a macinare il caffè, e intanto Rachele da uno sguardo sicuro ad ogni cosa, prepara i biscotti, e diffonde l’armonia e l’unità fra i giovani ausiliari, di cui tempera e dirige lo zelo con parole soavi, blande e opportune.
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