Era questo veramente il focolare domestico, era la famiglia; parola di cui Giorgio non aveva finora ben conosciuto il significato: e la fede in Dio, la fiducia nella sua provvidenza cominciavano ad infiltrarglisi nel cuore, e i tetri suoi dubbi di misantropo e d’ateo si dileguavano dinanzi alla luce di quel vangelo in azione, respirato dai volti di coloro che lo circondavano e predicato, diremo così, dai mille atti d’amore e di buona volontà che scorgeva in ciascuno.
— Babbo, — disse Simeone figlio — che avverrebbe se tu fossi novamente sorpreso?
— Pagherei la multa, — rispose Simeone tranquillamente.
— E se ti mettessero in prigione?
— Forse che tu e tua madre non sareste buoni a governare la fattoria? — rispose il padre sorridendo.
— La mamma può fare quasi tutto; — disse il giovinetto — ma non è una vergogna il fare di tali leggi?
— Non devi, Simeone, parlar male di chi sta al governo del paese, — disse il padre con gravità. — Il Signore non concede a noi i beni della terra, se non a fine che possiamo praticar la giustizia e la misericordia. Se per adempir questi doveri il governo c’impone un tributo, e noi paghiamolo.
— Ad ogni modo, io li detesto quei possessori di schiavi, — riprese a dire il giovinetto.
— Io mi maraviglio! — disse Simeone. — Parmi che tu non abbia troppo profittato delle lezioni che t’ha date la mamma. Se Iddio conducesse alla mia porta il possessore di schiavi nell’afflizione, io farei tanto per esso quanto per lo schiavo, —
Simeone il giovane diventò rosso come il fuoco; sua madre si contentò di sorridere e disse:
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