Dovevano pure esser vere, quelle promesse, poiché altrimenti come avrebbe potuto vivere?
La Bibbia di Tom, sebbene non fosse arricchita di note o di commenti in margine da alcun dotto chiosatore, era abbellita da certi tratti e geroglifici d’invenzione di Tom stesso, che lo aiutavano meglio di quanto avrebbero potuto fare sapienti dissertazioni. I figli del suo padrone, e Giorgio specialmente, avevan l’uso di leggergliene spesso qualche brano, e quando un passo gli dilettava l’orecchio o gli commoveva il cuore, egli lo segnava subito con la penna; cosicché la sua Bibbia era tutta coperta da una varietà di segni e d’indicazioni, che gli rendevano facile di trovare i suoi passi prediletti senza esser costretto a percorrere i versetti intermedi.
Ciascun passo gli ricordava una scena della sua vita domestica, o alcuna delle sue perdute gioie. Quella sua Bibbia conteneva quanto gli restava della vita scorsa, e la promessa di una vita futura.
Nel numero dei passeggeri si trovava un giovane signore della Nuova Orléans, di famiglia ricca e onorata, chiamato Saint-Clare. Aveva seco una fanciulla di cinque o sei anni, ed una signora parente di lui, che pareva addetta a custodir la bambina.
Tom l’aveva osservata sovente, essendo essa di quelle creaturine che non si possono dimenticare dopo averle viste una volta: fanciullette dal piede leggero, con lo sguardo curioso e che, al pari dei raggi del sole o della brezza estiva, non si lasciano rinchiudere in uno spazio ristretto.
Nelle forme, essa era la perfezione della bellezza infantile, aveva tutta la grazia aerea di una immagine mitologica.
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