— È una grave, spaventosa responsabilità quella di voialtri possessori di schiavi! — disse miss Ofelia. — Per tutti i tesori del mondo io non vorrei assumermela. Voi dovreste istruire i vostri schiavi e trattarli come creature ragionevoli che hanno un’anima come noi. Senza dubbio ne risponderete dinanzi al tribunale di Dio! Questa è la mia convinzione! — esclamò la buona damigella, dando finalmente sfogo all’indignazione compressa che le bolliva nell’anima.
— Eh, via! — disse Saint-Clare alzandosi vivamente. — Voi non ci conoscete ancora. —
E mettendosi al pianoforte eseguì un’allegra sonata.
Egli aveva una maravigliosa disposizione per la musica. Il suo tocco era fermo e brillante, e le sue dita volavano sulla tastiera con la leggerezza d’una rondinella che rade le acque.
Egli sonò vari pezzi di musica, come se cercasse di scacciare un’idea molesta; finalmente, mettendoli in disparte, si alzò e disse sorridendo:
— Ebbene, cugina, voi ci avete dato una lezione eccellente e avete adempiuto un dovere; insomma io credo di volervene più bene che mai. Non ho il menomo dubbio che sia una verità, e ne sono stato colpito così bene in mezzo alla fronte che, sbalordito, non ho potuto sulle prime apprezzarne il valore.
— Quanto a me non sono dello stesso parere, — disse Maria. — Vorrei sapere se esiste alcun altro possessore di schiavi che sia buono e amorevole coi suoi, come siamo noi coi nostri! Ma ciò è affatto inutile: costoro non ne approfittano per diventar migliori. In quanto all’insegnar loro i propri doveri, io spesso ebbi a perderne la voce.
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Ofelia Dio Saint-Clare Maria
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